giovedì 9 luglio 2015

In occasione del Bloomsday

Il Bloomsday è passato da un po'. Ma il 16 giugno ero impegnata a cercare di comprendere i principi della linguistica sistematica funzionale di Halliday e non avevo la testa per celebrare tale ricorrenza. Una cosa tira l'altra, l'esame è passato, mi sto lentamente riprendendo da un anno di studio e finalmente torno nel mio piccolo blog. Tuttavia, non voglio riproporre la parte finale dell'Ulisse. E non mi sento nemmeno di parlare in generale del libro, in quanto questo richiederebbe un minimo di tre anni di studio e forse una certificazione. E allora, parlerò allegramente di Eveline.

Il mio legame con Eveline è nato quando avevo quattordici anni. Il racconto di Joyce è stato come una rivelazione per me: abituata a letture semplici (ho cominciato a leggere i classici a sedici anni), per la prima volta ho percepito un mondo di significati al di là di quelli immediati forniti dalle parole.

La mia passione per questo breve racconto oltrepassa i dettami dell'istruzione italiana in fatto di letteratura inglese, dove nella maggioranza dei casi è l'unico di Gente di Dublino che viene proposto agli studenti. Per quanto mi riguarda, è stato a lezione di letteratura italiana durante il primo anno di liceo. Perché Eveline sembra essere tanto importante? Per la paralisi, per l'epifania, per la lunghezza esigua. Per la possibilità di un dibattito alla fine: secondo voi, perché Eveline alla fine non parte? Chi pensa che abbia fatto bene? E c'è di più: ho sentito discussioni sulla possibilità che Eveline abbia preso la decisione giusta, perché forse Frank l'avrebbe mandata a prostituirsi per le strade di Buenos Aires. Oppure la possibilità che sarebbe dovuta partire... per il semplice motivo che Buenos Aires significa 'aria buona'.

Queste ipotesi mi urtano nel profondo. Non ho mai sentito parlare delle difficoltà a cambiare. Non ho sentito discussioni sull'equilibrio che ognuno crea nella propria vita, anche se fatta di sofferenza e rinunce. Nessuna osservazione su come, una volta creatosi tale equilibrio, la possibilità del cambiamento appaia liberatoria e terrificante al tempo stesso. Come occorra tantissimo coraggio nel lasciare la vecchia strada per la nuova e scoprire cosa si può trovare, anche a costo di tagliare i ponti con il passato e mancare a una promessa. Mi sono ritrovata nella paura di cambiare di Eveline, nella sua esitazione a fuggire da una situazione che la soffoca al punto da impedirle di scappare e cominciare una nuova vita.

Eveline è un'odissea. Eveline è un'epopea. Eveline è un viaggio lungo esattamente 1826 parole. Ogni volta che mi capita di rileggerlo sono rapita dalla bellezza della descrizione dei pensieri della protagonista e dalle brevi scene che queste aprono. È la capacità di Joyce ad analizzare così a fondo l'animo di questa giovane donna che lo rende uno dei più grandi scrittori di sempre, almeno secondo me.

Alla fine di ogni viaggio, cioè ogni volta che lo rileggo, la mia speranza che Eveline salga su quella nave e incontri il suo destino non muore mai. Vorrei spingerla a forza, vorrei aiutarla a sconfiggere la paura dell'ignoto.

Così non è. Un insegnamento per tutti...

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