venerdì 29 maggio 2015

Top of the lake - Il mistero del lago

Top of the lake è una miniserie del 2013 diretta da Jane Campion e Garth Davis. Ho deciso di vederla per due motivi: il fatto che laeffe l'avesse inserita nella propria programmazione e l'interesse per l'ambientazione in Nuova Zelanda. Inoltre, volevo concedere un'altra occasione alla Campion dopo Lezioni di piano, un film che sento di non aver proprio capito.

Purtroppo, temo di non aver capito nemmeno Top of the lake. Al che mi si potrebbe obiettare, giustamente, che forse il problema è mio e non suo.

La detective Robin Griffin lascia temporaneamente Sydney e ritorna a Laketop, Nuova Zelanda, per stare con la madre malata. Arrivata in loco, la situazione è un po' questa. C'è una ragazzina dodicenne, Tui, i cui insegnanti scoprono essere incinta di cinque mesi. Il padre di Tui, Mark Mitcham, è un vecchio abominevole che passa il tempo ad amministrare il suo commercio di eroina e ad aizzare i due figli trentenni contro chiunque abbia osato guardarlo male. Robin viene chiamata a occuparsi del caso (ma non lavorava in Australia?) e si scontra subito con la realtà di Laketop, cittadina chiusa e maschilista, da cui è scappata dopo aver subito un grave trauma (la cui natura è facilmente desumibile). All'improvviso, Tui scompare.

La storia, raccontata così, ispira (o almeno ispirava me). Il problema è che temo che i registi si siano concentrati troppo sulla meschinità e sugli orrori compiuti dai cittadini di Laketop più che su uno sviluppo incalzante e coinvolgente della trama. Sia chiaro, i sei episodi scorrono velocemente e si guardano anche volentieri, complici i paesaggi mozzafiato neozelandesi.Tuttavia, penso che si sia dedicato molto tempo a vedere Robin fare gli occhi dolci al ritrovato fidanzatino del liceo e poco tempo ad aggiustare buchi nella trama (come l'assenza della madre di Tui, che si vede per un minuto e poi svanisce nel nulla) o ad approfondire la figura di Mark Mitcham, che pur essendo assolutamente spregevole suggerisce una complessità che sarebbe stato interessante affrontare.

Robin, quando non fa gli occhi da pesce lesso a Johno, è un bel personaggio. Coraggiosa, guidata da nobili ideali, tormentata. Ho apprezzato la sua freddezza nell'affrontare i pericoli.

Un elemento che mi ha lasciata perplessa è la comunità hippie che si stabilisce nei pressi di Laketop. La sua guida spirituale è G.J., donna dalla reputazione da illuminata che non fa altro che fumare, rispondere male alle persone e consigliare a tutti di "ascoltare il proprio corpo" (compresa la povera Tui che non vuole andare in ospedale a partorire). Le adepte di G.J., oltre a lamentarsi della propria vita e parlare di sesso, fanno poco. Ai fini della storia, la loro presenza non mi è chiara, così come il miniplot della storia d'amore di una di loro con Mark Mitcham.

Però... alla fine il mio giudizio non è propriamente negativo. Perché nel corso dei sei episodi non ci sono grandi colpi di scena o rivelazioni. E all'improvviso, a cinque minuti dalla fine, Robin comincia a capirci qualcosa. Il suo pensare e lo scorrere del tempo (manca pochissimo al termine della serie) creano una tensione notevole, che non cala mentre la detective corre a smascherare il colpevole. Non ci sono spiegazioni, non ci sono flashbacks: la verità appare chiara in un attimo. L'aver trovato il colpevole non sembra condurre a nessuna soluzione. Il mondo di Laketop va avanti, come se niente fosse. Un finale un po' amaro.

domenica 17 maggio 2015

Wilhelm Meister - La rivalsa

Qualche anno fa ho ascoltato per la prima volta la bellissima "In der weite", una poesia recitata su base musicale contenuta nell'album "Sehnsucht" di Schiller. Pur non capendo una singola parola di tedesco, la traccia mi è piaciuta tantissimo. La sorpresa è stata quindi molto grande quando ho scoperto che in realtà si tratta di una lirica del Wilhelm Meister...! Ovunque si trovasse in quel momento, Goethe ha avuto la sua piccola rivincita.


https://www.youtube.com/watch?v=2MnvlWtAEqo

venerdì 15 maggio 2015

Wilhelm Meister - Gli anni dell'apprendistato

AVVERTENZA
Questa recensione risale ad anni fa, quando ho dovuto leggere per la scuola 'Wilhelm Meister, gli anni dell'apprendistato'. Il libro mi è stato presentato come capolavoro del romanzo di formazione e opera ricca di spunti filosofici.

Il romanzo ha come protagonista Wilhelm, un giovane che potrebbe sembrare come tutti gli altri, se non fosse per la sua straordinaria capacità di iniziare un discorso e portarlo avanti per un minimo di due pagine senza fermarsi un attimo, nemmeno quando chi dovrebbe ascoltarlo si è profondamente addormentato (cosa che effettivamente succede!).

La grande passione di Wilhelm è il teatro. Perciò, fin da piccolo si è dedicato a riflessioni del tipo: il teatro, cos'è? Chi è l'attore? Che cosa può effettivamente esprimere un attore di un personaggio? E altri ragionamenti analoghi su cui, si sa, ogni bambino di dieci anni passa intere giornate a meditare.

Il buon Wilhelm ha una storia d'amore con una giovane attrice della durata di qualche settimana, forse addirittura un mese. Convinto di aver trovato l'amore vero, quando viene a sapere del tradimento di lei gli crolla il mondo addosso. La cosa lo sciocca a tal punto da non dedicarsi più al teatro per mettersi invece a lavorare. E forse ciò è anche un bene, in quanto si pensa che possa finalmente rendersi utile in qualcosa. Dopo qualche tempo, l'affranto giovane parte per affari e decide di non tornare più a casa. La cosa ancora più curiosa è che nessun membro della sua famiglia si disturba a chiedere sue notizie o quando si farà vedere di nuovo.
Vabbè.
A questo punto il nostro eroe incontra un ragazzo, Laertes, e una ragazza, Philine. In teoria ne conosce anche un altro, di ragazzo, Friederich; tuttavia, l'autore si dimentica di parlarcene. Si viene a sapere dell'esistenza di questo povero diavolo solo perché, all'improvviso, tutti si ricordano di lui e nessuno sa dove sia finito. Non sto scherzando.
Dopo dieci minuti buoni di ricerche frenetiche all'interno del libro, meditazione e parecchio intuito, si arriva alla conclusione che Friederich sia stato sempre lì, senza bisogno di essere menzionato. Però a un certo punto si è stancato di essere dato per scontato e se n'è andato, soprattutto per togliersi di torno il logorroico Wilhelm.

Intanto, il danno è fatto: il protagonista ritorna a fare teatro. Dopo pagine e pagine e pagine di interminabili tirate su tematiche come il teatro, il teatro, la morale, il teatro eccetera, a qualcuno verrebbe da pensare che, in fin dei conti, questo sia un ragazzo intelligente e profondo. Invece si innamora di tre o quattro ragazze per capitolo, solo per la loro bellezza.

La narrazione procede ulteriormente a furia di discorsi tediosi, paranoie mentali di Wilhelm, spettacoli teatrali e descrizioni superflue. Mai riusciamo ad avvicinarci veramente al protagonista: mai lo sentiamo vicino a noi o veniamo travolti dalla storia.

Wilhelm è antipatico e menefreghista. L'unica cosa che gli riesce bene è fare la vittima per i tradimento della fidanzata. Per anni INTERI. Ma un bel giorno, mosso da un'improvvisa ondata di buoni sentimenti, decide di adottare una bambina orfana, la piccola Mignon. Il giorno successivo già non la considera più e si giustifica pure da solo, dicendosi che è ancora giovane e non capisce come agire.

Una sera, Wilhelm va a dormire e trova nel suo letto una donna. È buio e non la vede bene, quindi non ha idea di chi sia. Dopo una bella nottata d'amore con questa sconosciuta, il mattino dopo si sveglia solo. E passa i mesi successivi a chiedersi chi fosse.
Questo episodio non è importante per quanto riguarda la trama, ma ci tenevo a ricordarlo per il suo realismo.

Dopo un tale delirio (perché di delirio si tratta), si arriva a un punto: bisogna sorbirsi ottanta pagine di resoconto della vita di un personaggio morto da tempo, che non avevamo mai incontrato prima. Questa donna modesta si firma come “Anima Bella”. La sua storia è semplice: un giorno aveva scoperto di essere molto religiosa. Punto. Ma non si era fatta suora. Non era partita per delle missioni di carità. Non si era sposata. Non aveva fatto un bel niente. Era rimasta lì, a bearsi delle sue virtù e a scrivere le sue memorie, con cui poi ci avrebbe poi tediato.
Alla fine di questa parte, pensavo seriamente che l'autore mi stesse prendendo in giro.

Quando il libro si avvia alla conclusione (circa duecento pagine prima della tanto attesa parola FINE), la storia prende una piega fantasy. Wilhelm scopre che un'associazione di persone lo ha seguito per anni e annotato tutto ciò che faceva. Così, senza un motivo!
Ora, io non sono vissuta nel diciottesimo o nel diciannovesimo secolo, ma credo che, in qualsiasi epoca, se qualcuno scopre di essere stato pedinato per anni interi da perfetti sconosciuti, come minimo monti su tutte le furie ed esiga delle spiegazioni. Ma tutto questo non accade all'impassibile Wilhelm! La notizia non lo sconvolge, non lo turba. Anzi, sembra quasi fargli piacere. Come se niente fosse, più felice che mai, proclama terminato il proprio apprendistato. E tutti ridono felici insieme, come in una pubblicità Mulino Bianco (n.b. rivedendo questa recensione nel 2015, direi piuttosto come in una pubblicità Findus 'Il sapore della vita').
Al che ho accettato ogni altro avvenimento della storia senza discutere, perché mi sono resa conto che sarebbe stato inutile.

Wilhelm scopre di avere un figlio, ormai bambino (e la madre era l'attrice che in realtà NON l'aveva tradito) e gli si incolla subito, senza avere occhi per nessun altro. La povera Mignon allora sta malissimo nel vedere che una delle poche persone a cui si sia mai affezionata non si occupa più di lei (non che lo avesse mai fatto, eh, ma a lei sembrava di sì).

A questo punto, Wilhelm comincia a incontrare sul suo cammino esclusivamente persone che hanno una qualche parentela con lui o con l'"Anima bella"; oppure, si imbatte in gentiluomini che avevano acquistato le opere d'arte del suo defunto nonno. Con una serie di coincidenze così straordinarie che avrebbero fatto impallidire Charles Dickens in persona, i personaggi spuntano fuori uno dopo l'altro come funghi, quasi come se l'autore avesse trovato un modo straordinariamente facile per chiudere la storia. Dopo l'ultima sensazionale rivelazione (un conte arrivato dall'Italia e incontrato per puro caso è lo zio di Mignon, ma guarda), Wilhelm viene a sapere che la donna che ha intenzione di sposare si sposerà invece con un altro. Quelle sorprese che, di solito, non accogli con gioia. Ma Wilhelm è superiore a tutto ciò. Senza fare una piega, chiede a una sua amica di sposarlo e il problema è subito risolto. Facile. E quindi, cosa importa se la povera Mignon muore di dolore?
Proprio niente. Al termine della storia, troviamo Wilhelm felice e contento, nonostante la morte di colei che gli aveva portato la colazione a letto per mesi.

domenica 10 maggio 2015

The once and future king - Re in eterno

Ecco una vecchia recensione su uno dei miei libri preferiti, 'The once and future king' di T.H. White.

Questa saga mi ha davvero sorpresa. Eppure ne ho letti di testi arturiani. Chrétien de Troyes, Thomas Malory, 'Il Cavaliere verde', reinterpretazioni varie ed eventuali... conosco la storia a memoria.

White la conosceva ancora meglio e l'ha compresa così a fondo da ridisegnare personaggi e dinamiche con una scioltezza e una sensibilità uniche. Fra tutti i volumi della materia di Bretagna che mi sono capitati fra le mani, non ho mai compreso e simpatizzato con i protagonisti come ho fatto in questo caso. Anche se ammetto che non è stato facile, in un primo momento, accettare le nuove sfaccettature (e i difetti) dei personaggi che amo tanto. .

La saga comincia con un'allegra fiaba di formazione ('La spada nella roccia') per poi passare a una narrazione più matura nei tre volumi successivi ('The queen of air and darkness', 'The ill-made knight' e infine 'The candle in the wind'), dove spensieratezza e divertimento, tristezza e amara malinconia si fondono nel raccontare la vita a Camelot e un'insolita immagine del personaggio di Lancillotto, cavaliere dall'aspetto poco attraente ed eternamente tormentato dall'odio verso se stesso.

La Regina Ginevra è finalmente mostrata nella sua complessità di donna, non come una dama piatta e capricciosa. L'interessante analisi della sua figura si concentra sui diversi tipi di amore che la legano ad Artù e a Lancillotto allo stesso tempo, mettendo in luce il suo inconscio disagio per il non aver avuto figli, che la porta a cercare nel cavaliere qualcuno che possa darle un erede.

Re Artù, sebbene passi con discrezione in secondo piano nel terzo e quarto volume, ha comunque un ruolo essenziale. Non è il Re Artù passivo (e anche un po' idiota) che ho conosciuto precedentemente; è un uomo che consacra la propria vita all'ideale della Giustizia, nel tentativo di realizzare gli insegnamenti di Merlino quando era giovanissimo. Certo, a volte non è proprio una cima, ma almeno ci prova. Artù è la persona più buona che ci sia. Ama sinceramente, riamato, la moglie e il suo cavaliere più fidato, ed è per questo che, nonostante il torto subito, non riesce ad odiarli. Ma è proprio per essere coerente all'ideale della Giustizia che si ritroverà costretto a condannare i due amanti.

Il Re non smette mai di sperare che tutto possa ritornare come prima e che i due siano reintegrati a Corte. Ho trovato particolarmente toccante il passaggio in cui, nell'osservare Lancillotto che salva Ginevra dal rogo, si chiede se salutarla con la mano mentre scappa sia sconveniente.

Potrei parlare per ore dei simpaticissimi personaggi secondari. White presenta le figura dell'opera di Malory con un'ironia unica e un pizzico di realismo. Gawaine, per esempio, è un sempliciotto che parla con un accento terrificante. Per un'amante di 'Sir Gawain e il Cavaliere Verde' come me, ritrovarmi davanti questo buzzurro mi ha sconcertata un po'. Tuttavia, è bastato poco per entrare in una nuova prospettiva e trovarlo effettivamente esilarante.

Direi che tra i personaggi più riusciti ci sono Merlino, fantastico nel primo volume, l'inimitabile Sir Pellinore (tradotto inspiegabilmente come 'Pilade' nella versione italiana del cartone 'La spada nella roccia') e, appunto, il leale Gawaine, il cui resoconto della Cerca del Graal è quanto più di scoraggiante vi possa essere se state pensando di mettermi alla ricerca del Sacro Vaso. Menzione speciale meritano la comparsa di Meleagriant e i suoi goffi tentativi di mettere in ordine il castello dopo aver rapito la Regina.

La tecnica narrativa è molto originale: abbiamo un narratore esterno onnisciente, talmente onnisciente da non risparmiarsi citazioni di libri e avvenimenti dei secoli successivi alla narrazione, da 'Alice nel paese delle meraviglie' ad 'Anna Karénina', dai Bolscevichi a un tale austriaco che voleva contagiare le altre nazioni con il suo odio.

E qui si arriva alle belle considerazioni finali sulla guerra e le sue cause, dove è quanto mai evidente l'influenza della situazione politica del tempo della stesura (piena Seconda Guerra Mondiale). È chiaro che la figura di Mordred, la sua rabbia e la sua sete di potere siano improntate a qualcun altro.

L'elemento più bello, originale ed emozionante dell'intera opera, a mio parere, è il finale. Il motivo è molto semplice: il finale non c'è. Tradizionalmente, le diverse versioni del ciclo arturiano (almeno quelle che ho letto io) passano in rassegna l'ultima battaglia di Artù, la sua morte, i tentativi di Mordred di salire al potere, drammi vari ed eventuali. White si ferma prima, all'alba della battaglia finale. In più, la prospettiva cambia. Ho letto spesso di come Lancillotto faccia di tutto per limitare i danni e di come Ginevra pianga, si disperi, pianga e cerchi di non essere costretta a sposare Mordred. In 'The once and future king', per la prima volta ho potuto sapere che cosa stesse provando Re Artù nel periodo della caduta della Tavola Rotonda. La storia si avvia alla fine e il tono diventa sempre più triste e cupo, pur non pesando affatto sulla lettura.

Alla vigilia della battaglia in cui perderà la vita, l'anziano sovrano comprende il vero motivo per cui, da bambino, Merlino lo aveva trasformato diversi animali come parte della sua istruzione. È proprio ripensando al mondo animale, e al riconoscere l'uomo come parte di esso, che la verità sulla guerra e la soluzione appaiono chiare. I pensieri di Artù si fondono con le tenui speranze dell'autore per l'avvenire. Cioè, che gli uomini non si limitino a 'mangiare e riprodursi', ma anche a 'leggere e scrivere' per arrivare alla ragione, in modo che si possano sedere a una Tavola Rotonda il cui legame non sia rappresentato dalle nazioni, ma dalla cultura.

E con questa intuizione, Artù si prepara ad affrontare il suo destino. Fine. Non è necessario continuare, perché quello che segue lo sappiamo bene.

Ho letto questo libro nel 2012 e da allora non ho avuto il coraggio di rileggerlo :-)





Primo post

Ho creato ('ho' si fa per dire, non ho capito assolutamente niente del processo tecnico) questo blog a grande richiesta dalla mia famiglia per discutere di libri, film, telefilm, musica, video di pattinaggio sul ghiaccio e altre cose di cui sono stufi di sentirmi parlare :-)

La mia più grande passione è forse la letteratura inglese. E quindi ho deciso di intitolare questo nuovo spazio 'Un'italiana alla corte di re Artù' perché amo il ciclo arturiano da sempre e non mi dispiacerebbe viaggiare nel tempo per vederlo con i miei occhi, proprio come Hank Morgan nel romanzo di Mark Twain.