domenica 10 maggio 2015

The once and future king - Re in eterno

Ecco una vecchia recensione su uno dei miei libri preferiti, 'The once and future king' di T.H. White.

Questa saga mi ha davvero sorpresa. Eppure ne ho letti di testi arturiani. Chrétien de Troyes, Thomas Malory, 'Il Cavaliere verde', reinterpretazioni varie ed eventuali... conosco la storia a memoria.

White la conosceva ancora meglio e l'ha compresa così a fondo da ridisegnare personaggi e dinamiche con una scioltezza e una sensibilità uniche. Fra tutti i volumi della materia di Bretagna che mi sono capitati fra le mani, non ho mai compreso e simpatizzato con i protagonisti come ho fatto in questo caso. Anche se ammetto che non è stato facile, in un primo momento, accettare le nuove sfaccettature (e i difetti) dei personaggi che amo tanto. .

La saga comincia con un'allegra fiaba di formazione ('La spada nella roccia') per poi passare a una narrazione più matura nei tre volumi successivi ('The queen of air and darkness', 'The ill-made knight' e infine 'The candle in the wind'), dove spensieratezza e divertimento, tristezza e amara malinconia si fondono nel raccontare la vita a Camelot e un'insolita immagine del personaggio di Lancillotto, cavaliere dall'aspetto poco attraente ed eternamente tormentato dall'odio verso se stesso.

La Regina Ginevra è finalmente mostrata nella sua complessità di donna, non come una dama piatta e capricciosa. L'interessante analisi della sua figura si concentra sui diversi tipi di amore che la legano ad Artù e a Lancillotto allo stesso tempo, mettendo in luce il suo inconscio disagio per il non aver avuto figli, che la porta a cercare nel cavaliere qualcuno che possa darle un erede.

Re Artù, sebbene passi con discrezione in secondo piano nel terzo e quarto volume, ha comunque un ruolo essenziale. Non è il Re Artù passivo (e anche un po' idiota) che ho conosciuto precedentemente; è un uomo che consacra la propria vita all'ideale della Giustizia, nel tentativo di realizzare gli insegnamenti di Merlino quando era giovanissimo. Certo, a volte non è proprio una cima, ma almeno ci prova. Artù è la persona più buona che ci sia. Ama sinceramente, riamato, la moglie e il suo cavaliere più fidato, ed è per questo che, nonostante il torto subito, non riesce ad odiarli. Ma è proprio per essere coerente all'ideale della Giustizia che si ritroverà costretto a condannare i due amanti.

Il Re non smette mai di sperare che tutto possa ritornare come prima e che i due siano reintegrati a Corte. Ho trovato particolarmente toccante il passaggio in cui, nell'osservare Lancillotto che salva Ginevra dal rogo, si chiede se salutarla con la mano mentre scappa sia sconveniente.

Potrei parlare per ore dei simpaticissimi personaggi secondari. White presenta le figura dell'opera di Malory con un'ironia unica e un pizzico di realismo. Gawaine, per esempio, è un sempliciotto che parla con un accento terrificante. Per un'amante di 'Sir Gawain e il Cavaliere Verde' come me, ritrovarmi davanti questo buzzurro mi ha sconcertata un po'. Tuttavia, è bastato poco per entrare in una nuova prospettiva e trovarlo effettivamente esilarante.

Direi che tra i personaggi più riusciti ci sono Merlino, fantastico nel primo volume, l'inimitabile Sir Pellinore (tradotto inspiegabilmente come 'Pilade' nella versione italiana del cartone 'La spada nella roccia') e, appunto, il leale Gawaine, il cui resoconto della Cerca del Graal è quanto più di scoraggiante vi possa essere se state pensando di mettermi alla ricerca del Sacro Vaso. Menzione speciale meritano la comparsa di Meleagriant e i suoi goffi tentativi di mettere in ordine il castello dopo aver rapito la Regina.

La tecnica narrativa è molto originale: abbiamo un narratore esterno onnisciente, talmente onnisciente da non risparmiarsi citazioni di libri e avvenimenti dei secoli successivi alla narrazione, da 'Alice nel paese delle meraviglie' ad 'Anna Karénina', dai Bolscevichi a un tale austriaco che voleva contagiare le altre nazioni con il suo odio.

E qui si arriva alle belle considerazioni finali sulla guerra e le sue cause, dove è quanto mai evidente l'influenza della situazione politica del tempo della stesura (piena Seconda Guerra Mondiale). È chiaro che la figura di Mordred, la sua rabbia e la sua sete di potere siano improntate a qualcun altro.

L'elemento più bello, originale ed emozionante dell'intera opera, a mio parere, è il finale. Il motivo è molto semplice: il finale non c'è. Tradizionalmente, le diverse versioni del ciclo arturiano (almeno quelle che ho letto io) passano in rassegna l'ultima battaglia di Artù, la sua morte, i tentativi di Mordred di salire al potere, drammi vari ed eventuali. White si ferma prima, all'alba della battaglia finale. In più, la prospettiva cambia. Ho letto spesso di come Lancillotto faccia di tutto per limitare i danni e di come Ginevra pianga, si disperi, pianga e cerchi di non essere costretta a sposare Mordred. In 'The once and future king', per la prima volta ho potuto sapere che cosa stesse provando Re Artù nel periodo della caduta della Tavola Rotonda. La storia si avvia alla fine e il tono diventa sempre più triste e cupo, pur non pesando affatto sulla lettura.

Alla vigilia della battaglia in cui perderà la vita, l'anziano sovrano comprende il vero motivo per cui, da bambino, Merlino lo aveva trasformato diversi animali come parte della sua istruzione. È proprio ripensando al mondo animale, e al riconoscere l'uomo come parte di esso, che la verità sulla guerra e la soluzione appaiono chiare. I pensieri di Artù si fondono con le tenui speranze dell'autore per l'avvenire. Cioè, che gli uomini non si limitino a 'mangiare e riprodursi', ma anche a 'leggere e scrivere' per arrivare alla ragione, in modo che si possano sedere a una Tavola Rotonda il cui legame non sia rappresentato dalle nazioni, ma dalla cultura.

E con questa intuizione, Artù si prepara ad affrontare il suo destino. Fine. Non è necessario continuare, perché quello che segue lo sappiamo bene.

Ho letto questo libro nel 2012 e da allora non ho avuto il coraggio di rileggerlo :-)





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